La solita commedia all’italiana

La solita commedia all’italiana

Morire è un dolore, ma continuare a vivere è da eroi.

Alla fine credo che quando un personaggio importante muore, se si vuole tributargli vero onore, sarebbe il caso di tacere. Le opinioni personali, in genere condizionate in maniera spudorata dal ruolo o dalla parte politica nella quale si milita, per lo più untuose in maniera non asciugabile, non tendono a rendere onore a chi non c’è più, ma a celebrare chi le esprime, in una sorta di “io che l’ho conosciuto”, “io che ci ho parlato” se non uno “io che gli ero amico”, dove il pronome “io” esclude, per logica dialettica, la figura dell’appena deceduto.

Sì, è vero, qualche ricordo sincero e intelligente, finanche non egocentrico, c’è pure stato, ma, parliamoci chiaro, per un serio giudizio storico occorrono anni e d’altro canto è misera la visibilità del momento o la credibilità dell’intervistato di turno.

A sorprendere è l’enorme numero di chi si sente in dovere di regalare un tributo (pare si dica così).

Temo sia da attribuire all’eccesso di televisione e social, che, messe assieme, ci rendono tutti attori di qualche scena, di qualche spot, uno dei milioni di spot, quindi attori di niente, ma vaglielo a far capire.

Non che siano diventati tutti stupidi, ma diciamo che va di moda una sorta di ignorante intelligenza, laddove l’ignoranza condiziona in maniera importante l’intelligenza. Chi parla, sempre e troppo, sempre in una foto o in un video, non conosce il principio socratico fondamentale, non sa, cioè, di non sapere e, di conseguenza, crede che quelle quattro cose apprese sui social, o in un viaggio all’estero, o in una relazione esotica, siano il massimo dello scibile, il culmine dell’esperienza umana e che nulla più occorra per alimentare quella intelligenza che si porta stancamente dietro quasi come un fardello, indirizzata com’è solo a cercare scorciatoie, visibilità e successo.

Quanto a quest’ultimo, ve n’è di varie specie e ognuno ambisce al suo personale, che talvolta può anche condensarsi in 1000 like, tal’altra nel sorriso della vicina/o di casa, tal’altra ancora nella elezione a consigliere comunale e mi limito al mondo dei poveri mortali, chè il successo ambito dalle persone più importanti spazia dall’essere ministro a girare un film con la regia di Tarantino. Raggiungerlo, poi, davvero, il successo, è tutt’altra storia, quasi non necessaria, limitandosi, in genere, il mondo dei sogni ad alimentarsi, giammai a realizzarsi, tanto che, nei sogni, si raggiunge una specializzazione sofisticata, con la quale del reale possiamo davvero fare a meno.

Ma tornando all’incipit, spero di morire da sconosciuto, con un funerale per pochi intimi e una cerimonia di sepoltura davvero con quel paio di persone che contano, nessun commento, nessun ricordo alla fine della messa, nessun necrologio e nessun manifesto collettivo. Tanto comunque non sarebbero rivolti a me, ormai defunto, ma soltanto a quelli che dovranno poi sobbarcarsi il mio ricordo memori dell’attenzione prestata e quindi in qualche modo obbligati per il futuro.

Ma, tornando all’incipit, la gara a chi ne dice una di più, imperversa ancora. Andranno alla ricerca dell’edicolante che gli consegnò un numero di Repubblica (a occhio e croce credo che avrebbe comprato quello, se amante del genere letterario (!?!) della “carta stampata”) o del maestro che gli insegnò a fare la “o”, ammesso che viva ancora.

In una parola non se ne può più di vedere e sentire Papa Francesco strattonato da tutte le parti, perché così, da un momento triste, nasce solo la solita commedia all’italiana.

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