Roba che Tom Cruise ci fa un baffo, agli avvocati.

Roba che Tom Cruise ci fa un baffo, agli avvocati.

Il rinvio della causa, un rito, una certezza (del diritto).

Fare l’avvocato è diventato ardimentoso assai, ma che dico, fare l’avvocato significa ogni giorno affrontare un’avventura improba per non dire impossibile.

E’ infatti impossibile, per esempio, far decidere una causa, e vengo al racconto, giurando che non ci sarà nulla di romanzato, ma che proverò a sfiorare la testualità delle cose dette e sentite.

Udienza davanti al magistrato onorario di turno (i magistrati togati, essendo diventata categoria quasi invisibile, in materia civile,  è raro trovarseli di fronte, in carne e ossa, a dirigere un’udienza). Causa pronta per l’iscrizione alla scuola primaria, avendo appena compiuto i sei anni, ma da ben cinque con istruttoria ben terminata, trattandosi di una causa, come usa dirsi, documentale. L’avvocato di turno, cioè io, è il primo a presentarsi davanti al giudice, e, brevemente, con tempi europei, spiega a un giudice che non sa niente della causa (giuro) che si tratta di un procedimento contumaciale (cioè l’altra parte non si è mai costituita in giudizio), che ha per oggetto un indebito e che da cinque anni aspetta di essere decisa, essendosi ripetute identiche udienze, circa una ogni otto o nove mesi, di semplice rinvio.

Il Giudice allarga le braccia e dice che no, non può essere decisa, perché vuolsi così colà dove si puote, risparmiandomi il “più non dimandar”, cioè, non per sua volontà, ma perché così è stato deciso nei piani alti. Questi hanno imposto di eliminare l’arretrato, ragion per cui devono essere decise prima le cause molto più vecchie della mia, quindi, in poche parole, per l’eliminare l’arretrato, la strategia vincente è, nientepopodimenochè, crearne dell’altro. Geniale.

Mi sarei aspettato, invece, da ingenuo, che, per eliminare l’arretrato, avessero chiesto, dai piani alti, ai magistrati, di deciderne una in più, giammai tante quanto basta per non eliminare mai appunto l’arretrato, cioè ricreandone di nuovo, perpetuandolo all’infinito.

A questo punto della commedia (o farsa?) io suggerisco al giudice che, semmai, se non dovessero esserci, dico all’udienza di oggi, cause più vecchie, cosa possibile, potrebbe decidere la mia, per non perdere il ritmo, quantomeno. Ma arriva spedita la laconica risposta “non posso, davvero non posso. Ci sono ordini da rispettare”. Alla faccia dell’autonomia del magistrato. Vabbè.

Ora mi chiedo, ma che maniera di eliminare l’arretrato è quella di rinviare per oltre cinque anni una causa matura per la decisione? Mistero degli dei, quali i magistrati presumono, e non da soli, di essere.

E poi, insolentemente, mi chiedo ancora: per quale motivo, nell’era dell’udienza telematica, cioè svolta anche dal bagno di casa, in seduta permanente, oppure con il semplice deposito di note scritte, non si prende la briga, il magistrato di turno, di dare un semplice sguardo, la settimana prima, alle cause, e, con un rinvio di ufficio comunicato tempestivamente, evitare a un avvocato di presentarsi di buon’ora in udienza, aspettare la canonica oretta che si prende il magistrato (c’è chi può e chi no), dopo essersi rasato alla bisogna, pulito, a volte profumato, guardatosi allo specchio per vedere l’effetto che fa, munito di 24ore, penna e foglio di udienza, inforcata la bicicletta (dettaglio esclusivamente personale), evitandogli, così, alla fine, la commedia così come descritta prima? Basterebbe un minimo di rispetto, dice qualcuno; o di educazione, dice un altro, ma entrambi sommessamente, per non farsi sentire dal giudice, tanto di quelle volte si dovesse arrabbiare e scagliare uno strale sul malcapitato, bistrattato, ignorato avvocato, come si dice, di turno.

Ma in conclusione, occorre dire che se la giustizia è questa, e questa è, guai a chi ci capita sotto. Avere un’udienza rinviata nella maniera descritta è come fissare un appuntamento dal medico, prepagare la visita e poi trovare la porta chiusa con un biglietto che dice “l’appuntamento è rinviato, si arrangi”. Del medico diremmo peste e corna, del magistrato no, e chissà perché. Sarà perché gli avvocati hanno, come categoria, perso per strada ogni forma di dignità, sarà perché i magistrati hanno subito un processo di deificazione ragion per cui operano a un livello che sovrasta l’umano e agli avvocati, sarà perché ti amo, come cantavano i Ricchi e Poveri, certo è che questa giustizia è buffa, inutile se non dannosa, sarcastica nei confronti degli utenti, ormai riservata agli avventurieri spregiudicati, oziosi benestanti e perdigiorno incalliti, tutte caratteristiche ormai perfettamente adattabili al cittadino che chiede giustizia, il nuovo eroe, sacrificato in nome di un geniale ordine presidenziale.

Del che è verbale.

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