Una vita fa.
E d’un tratto avverto stanchezza. D’un tratto non spero più. D’un tratto sono maturato, finalmente, potrebbe pensare qualcuno.
Stanco di indignarmi, di protestare, di denunciare. Del resto serve a poco. Chi si indigna finisce per farlo anche per vanità. Ecco, stanco della vanità.
Ho voglia di evitare le strade affollate, di camminare lambendo i muri, di non comunicare i miei pensieri ma, soltanto, di farne tesoro, o neanche questo.
Ai pensieri che si accumulano nella testa, sgomitando fra di loro, guardo con più benevolenza. Anzi, per la prima volta li guardo, senza esserne travolto. E sorrido loro, mi fanno tenerezza, quando, impetuosi, sicuri di loro stessi, si affollano all’entrata della mia testa cercando di entrarvi, pur consapevoli che la loro presenza potrebbe durare un secondo o un’immagine e poi dover rifare la fila. Vivere senza pensieri, quelli che vogliono imporsi, sarebbe bello, dicono sia possibile, basta guardarli entrare. Io ci sono arrivato ora. Riuscirò a vincerli?
Una mente vuota, calma, sarà sicuramente più pronta, reattiva, fresca, acuta, come quella di un fanciullo, mi dicono, e forse è vero e spero di poterlo raccontare un giorno.
E cos’è questo? Un diario?
Non lo so, forse soltanto il tentativo di sentirmi vivo, ancora vivo, seppur desideroso si quella calma e quella serenità che solo dopo, chissà, potremo assaporare.
Chi muore giovane forse salta questo passaggio. Che non sia, il morire giovani, l’unica vera ricetta di una vita felicemente vissuta?, e il morir vecchi una condanna?
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