L’ipocrisia virtuosa.
Una generale e consolidata ipocrisia, certamente virtuosa, come dire, avvolge la nostra esistenza senza che rimangano prese d’aria a mitigarne il fitto spessore.
Viviamo certamente una stagione di democrazia, perbacco, e l’amore per la democrazia viene dichiarato a ogni istante, quasi i politici fossero degli innamorati che hanno il bisogno di dichiarare il loro sentimento senza tregua. Manca, però, la passione democratica, quella che ci ricorda i doveri di una democrazia e non solo i diritti. Di qui lo stato di ipocrisia sociale che ci fa vivere con regole democratiche, senza che le stesse ci appartengano. Talchè l’arte di aggirarle rimane un’arte riconosciuta e per la quale abbiamo i migliori artisti.
Perchè, in fondo, noi democratici non lo siamo affatto. Ci piace il potere e anche solo il suo odore, quindi se non riusciamo a esercitarne neanche un pochino anche se in ambito condominiale, ci accontentiamo di seguire la scia di chi lo esercita davvero. L’italiano è galoppino per disposizione cromosomica, servo per indole, tendente al potere, anche se di risulta, per delega o effimero. L’amore per la poltrona, o coppola che dir si voglia, è talmente fisiologico da riuscire a coniugare ogni grande principio secondo l’esigenza del momento. Osanniamo, infatti, la costituzione, ma non sappiamo neanche di cosa parli. Il principio di eguaglianza o di non colpevolezza, per esempio, li citiamo ogni tre parole, ma non ne conosciamo l’essenza, che rifiutiamo integralmente.
Conseguenze dirette di questa immane ipocrisia servile sono la prepotenza su chi ci è inferiore e la presunzione. Noi siamo esseri da “lei non sa chi sono io”, espressione che se evitiamo di pronunciare, nel nostro intimo ripetiamo all’infinito, pieni come siamo di un io che non ha nessun valore, perchè maleducato, irriverente e rozzo.
Con questo cosa volevo dire? Non lo so, ma i fatti mi cosano e pertanto viva i servi, ultimi che un giorno saranno quantomeno penultimi.
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