Ai confini della civiltà.

Ai confini della civiltà.

Cristo, per cominciare, ma poi tanti altri, cioè tutti, si sono fermati a Eboli.

Parliamoci chiaro (e tondo, avrebbe detto un mio conoscente), della Basilicata non è fregato mai niente a nessuno, men che meno ai lucani.

La si è regolarmente evitata, nei viaggi, nei racconti, nelle politiche infrastrutturali, passandole semplicemente accanto, lambendola, e soprattutto, schivandola.

Quando si sono pensate le autostrade, quella del Sole e l’Adriatica, a nessuno è venuto mai in mente di inventarsi una deviazione.

E così si è costruita l’Italia moderna, semplicemente senza la Basilicata. E la circostanza non ha stuzzicato nessuno, neanche l’amor proprio dei politici lucani, che pur qualcosa hanno contato.

E quindi siamo arrivati agli anni sessanta con un potentino qualsiasi che per congiungersi alla civiltà doveva mettere assieme corriere varie, che si inerpicavano lungo interminabili tornanti per arrivare a congiungersi al mondo, dove era possibile prendere un treno e vedere facce diverse.

Poi, quasi in un colpo solo la Basentana e il Taranto-Roma, roba da sentirsi quasi italiani. Ma, quasi a titolo di penitenza, con gli anni, la Basentana è diventata una rabberciata statale e il treno è rimasto, rispetto al resto della rete ferroviaria, il triciclo dei lucani, che a volte funziona e a volte no e che è l’unico modo per unirci al mondo.

Levi, uomo di elevata statura, ci amò per quanto eravamo diversi da tutti gli altri italiani e, con una genialità letteraria pura, segnò il confine fra il mondo e l’abisso lucano, a Eboli.

Eboli, nell’arco di circa 50 anni, con l’AutoSole, ha lasciato il titolo a Sicignano, ma le cose, perbacco, non sono cambiate, dopo circa un secolo.

Gli statisti lucani poco hanno potuto, o voluto, insomma della Basilicata hanno tenuto conto come del quindicesimo figlio di una famiglia povera: piccolo, sporco e abbandonato a se stesso. I lucani, dal canto loro, hanno vissuto questa “diversità” con un finto orgoglio, consci, fino all’altro ieri, che PZ rimaneva una sigla non conosciuta, almeno da Salerno in su.

Giammai i lucani hanno avuto rigurgiti di orgoglio, alla fine pensandola come tutti gli altri italiani e cioè che la Basilicata non contasse niente e quindi nulla potesse pretendere.

Questa assoluta lontananza dal mondo ci ha consentito, però, di godere di una autonomia burocratica. Abbiamo, infatti, sempre avuto una nostra Corte di Appello, non a caso ritenuta sede “disagiata”, e tutti i Comandi o comunque, autonomi uffici regionali, tutta roba che sta venendo meno, poco alla volta.

Poi, la riscoperta. Come accade nei mercatini dell’usato, cerca che ti cerca, qualcuno ha notato la Basilicata e i lucani subito hanno portato fuori il petto: eh eh, ci siamo anche noi, finalmente. Ma, proprio come al mercatino dell’usato, nulla è cambiato, anzi, la nostra peculiarità sta tutta nel nostro isolamento, nella nostra caratteristica selvaggia, nel tocco di avventura che accompagna un viaggio in Basilicata. Lo scarto temporale col resto del mondo sta tutto nei trasporti inesistenti, nelle infrastrutture vetuste, nell’assenza di una rete internet quantomeno decente, e, dulcis in fundo, nella miseria della nostra classe politica, senza della quale, storicamente, non avremmo potuto essere dimenticati ed esclusi da ogni progetto.

Il politico lucano, in genere, conserva quella timidezza che accompagna il povero nella vita sociale, povero che rimane coerente accompagnando la penuria di mezzi con la sua pochezza, riuscendo a non eccellere in niente. Ora parlano di visioni, ma ogni loro visione si trasforma in un’allucinazione per i lucani (grazie D.T.).

Il loro mondo si ferma ancora a Eboli, o Sicignano, signorotti di paesini sperduti, come quelli che raccontava Levi. Perché la verità è che non è cambiato nulla. Noi, con qualche rara eccezione, siamo diversi. Indifferenti, egoisti che al massimo della socialità intravedono il bar, giammai cittadini, lupi solitari, capaci, al massimo, del branco. Per questo i migliori scappano, perché a loro si preferiscono gli invertebrati servitori dei signorotti.

Che il petrolio sarebbe stata un’opportunità era ed è una fantasmagorica puttanata e lo si è visto. Ma è bastato un capodanno Rai per accontentare quei poveracci (nello spirito) che alla fine siamo.

Potremo riscattarci se ci colonizzeranno, ecco. Ma per nessuno ancora ne è valsa la pena.

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