Abusare è lecito, parola di legislatore.

Abusare è lecito, parola di legislatore.

Le selezioni farsa e dintorni.

L’abuso di atti di ufficio è sempre stato lo spauracchio degli amministratori. Sebbene non abbia mai contribuito a rendere più trasparente l’azione negli enti pubblici, avendo contato più assoluzioni che condanne, cionondimeno la fattispecie, capace di includere una variegata fenomenologia amministrativa, costituiva un -traballante- argine ai senza-scrupoli, che da sempre infestano la quotidianità italiana politico-amministrativa.

Era una norma cosiddetta aperta, generale, a fattispecie molteplice, includendo quei comportamenti elusivi delle regole che finissero per favorire ingiustamente qualcuno.

Noi italiani, per esempio, conosciamo molto bene, avendola subita o cavalcata, la raccomandazione, o, più genericamente, il favore dell’uomo di potere che, sovvertendo gerarchie valoriali, sistema il suo cagnolino nel tal posto per gestire meglio il suo consenso. Fenomeno noto a tutti meno che agli inquirenti che questo fenomeno non l’hanno mai seriamente combattuto, colpevole anche il legislatore che prima di abolire l’abuso spudoratamente, lo aveva, come dire, fiaccato.

Sistemare il proprio cagnolino, il più delle volte in coda alla fila dei selezionandi per capacità, oltre a drammaticamente danneggiare la macchina pubblica, arreca un danno a chi avrebbe meritato. Cosa gravissima, ma letta, ormai, dalla generalità, come inevitabile.

E tale deve averla ritenuta anche il legislatore che, pur riconoscendo l’attualissimo disvalore del fenomeno, ha preferito legalizzare la fattispecie, perché difficilmente punibile.

Grave errore, se si tratta solo di questo, machiavellica e scellerata scelta se, invece, si è voluto liberare le mani di chi aveva il terrore della firma. Liberare quelle mani ha significato legittimare qualsiasi abuso non sussumibile sotto altre più gravi (ma lo saranno davvero?) reati.

Perché se la corruzione è grave, ebbene sappiamo che la contropartita al favore è il danaro o cose simili, ma nell’abuso la contropartita è la gestione del potere a tutto tondo, quindi fenomeno drammaticamente più grave del singolo episodio di corruzione.

Pensiamo, per esempio, a un ospedale dove le gerarchie vengano stravolte dall’amichetta del potente (situazione anche invertibile, in ossequio al riconoscimento alle donne di poter paritariamente compiere scempiaggini), o pensiamo alla direzione dell’ente affidata al portaborse fedele, o pensiamo anche a un amministratore locale che disconosca, per sé, le norme.

Ma ovviamente si possono fare mille esempi, tutti buoni e tutti sintomo di un malessere cronico e gravissimo che intorbida il vivere civile.

Talchè la scelta del legislatore non può che definirsi ritagliata esattamente sul corpo del politico di malaffare, e perché non si facciano sprechi, sarà preferito il politico di puro malaffare, certamente più propenso ad approfittarne.

E dico il politico, ma intendo anche l’amministratore che esercita potere, come può accadere nell’esempio riportato dell’ospedale o all’interno di qualsiasi ente pubblico.

Una legge ad lobby, come ormai deve ritenersi il mondo del potere, che di democratico conserva solo la possibilità di poterne far parte, seguendo un’umile trafila che, come ogni cosa di malaffare, usa criteri più rigidi e “seri” perché qualcuno emerga.

L’abuso di ufficio andrebbe ripristinato, senza, in Italia, siamo destinati alla guerra civile, perché all’ennesima tragedia, figlia del nepotismo, più di qualcuno finirà pur per ribellarsi seriamente.

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