Non te lo dico!
Se un giorno gli uffici comunali vorranno chiarire tutte le problematiche comparse sull’alienazione di un locale e di un’area urbana all’allora consigliere comunale, oggi neo eletto sindaco della città, oltre alla presumibile nullità dell’alienazione eseguita in favore di soggetto che non poteva acquistare per divieto di legge e oltre a quanto emerso sulla stima dell’area urbana ceduta non esattamente corrispondente al suo corrente valore commerciale, come richiesto dal Regolamento Comunale, sarebbe il caso venissero fugate anche queste ulteriori almeno apparenti incongruenze:
- l’area urbana, per essere ceduta doveva essere inserita nel piano delle alienazioni. Orbene nella relazione dell’aggiornamento del piano, chiamato allegato B, compare il locale ma non l’area urbana. Errore della relazione? Stando alla relazione, quindi, che fa cenno solo al locale e non all’area urbana, questa non poteva essere alienata.
- il Regolamento per l’alienazione dei beni del Comune recita, all’art. 10, che soltanto i beni residuali, quali relitti e pertinenze stradali, possono essere ceduti a trattativa privata diretta. Orbene nell’atto di acquisizione della suddetta area urbana viene indicata una sua futura destinazione a “suolo commerciale”, il che escluderebbe, a una prima vista, la sua caratteristica di relitto o pertinenza stradale o cos’altro possa indurre a considerare l’area di alcun interesse per il Comune. Errata indicazione nell’atto di trasferimento? Stando, quindi, all’atto di provenienza dell’area questa non costituirebbe relitto o qualcosa di assimilabile a un relitto.
- l’area urbana ceduta, nell’atto di acquisizione del 2009, risulta confinante con la strada pubblica. Se confinante con la strada pubblica non si tratterebbe di un’area interclusa e inutilizzabile. Errore nella indicazione catastale? Se non interclusa non poteva essere ceduta a trattativa privata diretta.
Un chiarimento su questi punti gioverà a fugare ogni dubbio su un’operazione che, carte alla mano, pone qualche domanda.
Il tutto a prescindere dalla impossibilità di vendere il bene a un consigliere comunale e dalla stima del valore che non sembra riferirsi al valore corrente di mercato.
Il silenzio registrato a tutt’oggi non aiuta, però, a chiarire. Evidentemente si ritiene che non si abbia il dovere di affrontare il problema, il che in una democrazia, da parte di una figura istituzionale, non è propriamente il massimo e non fa per niente un bell’effetto.
Esistono mondi a parte. Quelli del Marchese del Grillo e quelli della gente comune. Quando si incrociano, però, continuando a parlare lingue diverse, danno letture della democrazia, della trasparenza e del dibattito, e anche del diritto, diverse. Io continuo a pensare che il codice civile si applichi anche a Potenza, più di qualcuno no. Opinioni.
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