La normalizzazione del peggio.

La normalizzazione del peggio.

Quando, giunti al fondo, scavammo un pozzo.

La democrazia che si è vissuta finora in Italia ha ottenuto un sicuro risultato: ha normalizzato il peggio.

Una burocrazia scadente, oggi è normale; servizi pubblici conclamatamente pessimi sono la normalità. Per esempio le liste d’attesa per una risonanza magnetica riportata come esame urgente, nella misura che conosciamo, non suscitano clamore, perché sono normali.

Normali sono scale mobili ferme con mamme e papà che le scendono a piedi con la carrozzina in braccio, dopo aver pagato il prezzo del biglietto, sì, costituiscono la normalità.

Un processo che dura anni è normale.

Un errore giudiziario, perbacco, è normale perché umano, nonostante la natura semidivina del magistrato.

Ma sono diventati normali anche gli atteggiamenti vagamente spocchiosi e sicuramente punitivi di certe amministrazioni che non gradiscono critica alcuna, le minacciose rappresentazioni di un futuro ancora più incerto se ti metti contro il sistema.

Ma la cosa che ha fatto diventare naturalmente normale tutto l’indicibile, cioè quello che ovunque susciterebbe proteste, non solo verbali, è il livello culturalmente, eticamente, arriverei a dire ontologicamente, basso della proposta politica e del materiale umano che si presta (previo stipendiuccio) alla politica.

E’ cosa risaputa che l’intelligenza è utile se non addirittura assolutamente necessaria allo svolgimento di qualsiasi funzione, soprattutto nelle funzioni più alte. In Italia si confonde la fedeltà o la furbizia con l’intelligenza, il sapere con il sentito dire, la genialità con la fortuna. Facile che poi, quindi, si incappi in un litigio da cortile di rione fra il primo ministro e un governatore. Ci fossero stati due signori, rispettosi delle istituzioni come dovrebbe essere, è matematico che non si sarebbe ottenuto il “pieno” di like equamente distribuiti fra le bande di tifosi e non si sarebbe radicata in tanti la normalità (ci risiamo) di un linguaggio da cortile fra ragazzacci in un incontro istituzionale.

E’ talmente normale che le cose vadano per il peggio che un normale (qua ci sta tutto) funzionamento di un servizio, per esempio un bus in orario, o il quarto ascensore che resuscita dopo anni di chiusura, suscita apprezzamenti entusiastici come se si fosse verificato un miracolo. Siamo, cioè, al ridicolo. Un giudice che deposita un provvedimento nei termini previsti è un funzionario eccezionale, un accesso telematico al sito di un ente senza problemi è un piccolo miracolo che ci fa ridere come bambini di fronte all’otto volante.

Il radicamento del peggio nell’immaginario comune, come normalità, è la peggiore tortura possibile, la violenza più inaudita, perché blocca il sistema critico di ognuno facendolo regredire a un livello primordiale di sorpresa di fronte alla luce e di paura davanti al buio.

In un sistema simile, è evidente, qualsiasi scempio è possibile senza alcuna eco, borbottio o polemica. Gli animi sono così sopiti che per svegliarli è buono solo l’inno della Champion, e, con tutto il rispetto per il calcio, che amo, forse è poco per un cittadino in regime di democrazia.

Quindi non siamo in democrazia.

-E allora come lo chiami il diritto di votare, eh!, professore dei miei due?

-Beh, lo chiamo diritto di potersi scegliere il boia, che, di destra, di sinistra o di centro (vai ormai a capire la differenza, poi) sempre e solo boia rimane.

-Ehi, ma non l’avevano abolita la pena di morte?

-A chiacchiere, amico, solo a chiacchiere. Prima ci uccidevano nel corpo. Oggi nell’anima.

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