Il capolavoro al contrario

Il capolavoro al contrario

Più facile avere un contributo che dignità. La sudditanza nei cromosomi.

Non c’è azienda, agricoltore, industria che non si senta in diritto di chiedere sussidi allo stato per le più svariate ragioni.

Non c’è cataclisma, inondazione, terremoto, tifone, siccità che non imponga allo stato di offrire corposi contributi a chi risultasse danneggiato (ma per la verità anche a chi danni non ne ha avuti). Ora che situazioni al limite impongano l’intervento dello stato è un conto, ma che si pretenda lo stato di calamità anche per una pioggia no.

E invece sembra pacificamente doveroso che lo stato aiuti, tanto che in caso di ritardi o di rarissimo rifiuto, il destinatario del contributo si sente in diritto di protestare e anche vivacemente.

E’ come se il rischio d’impresa, almeno per determinate circostanze, se lo assumesse lo stato che, però, non è proprietario. Una specie di assicurazione gratuita. Insomma uno stato comunista solo quando si tratta di risanare, riparare, aiutare. Per il resto rimane in vita un capitalismo bislacco, dove monopoli o oligopoli ne stemperano le caratteristiche.

Roba che “è facile fare la Fiat coi soldi che hanno preso” e via discorrendo.

La scusa è non fermare l’economia, il risultato è gettare miliardi dalla finestra, perchè sappiamo bene che oltre i veri danni si riempiono i portafogli di una marea di imbroglioni, per essere generosi.

L’Italia dovrebbe decidere cosa fare da grande, se essere liberista, liberale o cos’altro, ma davvero, o no. Se, invece, preferisce forme di socialismo e/o comunismo che, peraltro, si coniugherebbero alla grande con quella massiccia parte di italiani che senza posto fisso non vivrebbe e che senza uno stipendio sicuro, non vivrebbe o andrebbe in depressione o anche con quell’esercito che vive di sussidi vari, senza ambire a una vera occupazione, sistema che si sposerebbe volentieri con quelle frange di lavoratori lavativi che in un sistema centralizzato e statalistico da sempre vegetano beati.

Invece si naviga in un mare dove assistenzialismo convive con competitività, privatizzazioni con monopoli, dove si godono diritti al contributo ma non alla dignità. Ecco, è più facile, in Italia, avere un contributo, una pace fiscale o un condono edilizio, che rispetto, cultura e una vita facile.

All’estero si vive più facilmente. Una pratica dura poche ore e non mesi e un’autorizzazione arriva in pochi giorni e non in tanti mesi. I tuoi diritti sono rispettati e se hai un credito con lo stato o un ente vieni pagato subito e non con il commissario ad acta.

E poi in Italia si diventa star e parlamentari davvero per caso, perchè i partiti, o quel che ne rimane, approfittano della notorietà di chiunque per raccogliere consenso, e questo in un paese mediamente civile è inaccettabile. In politica si va per avere uno pseudolavoro, per uno stipendio, per arricchirsi, 99 volte su 100.

Possiamo finalmente, come paese, compiere i 18 anni? Decidere cosa fare da grandi, fare un progetto e vivere senza urgenze cui porre rimedio senza pensare di prevenirle?

Il capital-comunismo-familismo di noialtri -sarebbe il caso di registrare il brevetto- ha logorato il paese e tutta la classe politica, che illuminata non lo è da decenni, ne è fortemente responsabile. Sempre meno gente vota senza che scatti un campanello d’allarme. Senza che ci si pongano domande, come qualsiasi persona intelligente farebbe. Si pensa ai posti da occupare. E poi ci sono le europee e poi le comunali, altri fessi da sistemare alle nostre spalle. Roba da essere davvero stanchi.

Per contorno il Potenza rischia di retrocedere a compimento di un capolavoro al contrario realizzato senza risparmio di capitali e presunzione.

Mamma mia che incubo.

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