A margine di una domenica calda, stanca, nella quale a muoversi sono solo mosche e candidati.

A margine di una domenica calda, stanca, nella quale a muoversi sono solo mosche e candidati.

Ancora un giorno e buona parte dei 510 candidati torneranno sulla terra dopo un giro in giostra.

La tendenza di certi romanzieri di questa epoca (per esempio Piperno e Carofiglio fra gli altri) a curare dettagli irrilevanti del racconto, per esempio il titolo di una canzone jazz, per i più sconosciuta, ma che per il personaggio del racconto è conosciuta come “o’ sole mio” per il volgo, se per un attimo affascina, in quello successivo appare ridondante, inutile, improduttivo, segna una presunta superiorità culturale del personaggio che, irrimediabilmente, lo allontana dal lettore vero; certo non dal lettore superficiale che, semmai, in queste sciocchezze intravede un esempio di vita, peraltro irraggiungibile.

Gli scrittori di questi personaggi, presumibilmente descrivono il loro  ideale, e attingono a una realtà sofisticata come un vinello nel cartone, che alleggerisce i loro romanzi, togliendo sostanza per dare spazio all’apparenza. Quest’ultima non riesce mai, però, a colmare il vuoto di sostanza di quei romanzi.

Una trama non basta; lo stesso per una trama o storia, arricchita di particolari immaginari e mai riscontrabili nella realtà, come sono la maggior parte dei romanzi, a questo punto anche facili da scrivere e l’aumento degli scrittori me ne dà atto.

Di un vero romanzo, in fondo, non apprezzi la trama in sè e per sé, ma l’atmosfera nella quale ti succhia, la problematicità, tutta umana, dei personaggi, la costruzione di un periodo, l’uso delle parole.

La foga del lettore di turno di conoscere come andrà a finire, ne fa un lettore seriale che non ritiene nulla se non la storia, quasi si trattasse di un pettegolezzo qualsiasi, tipo la vicenda del vicino di casa, cioè tutto tranne letteratura.

Lo sfoggio del titolo ricercatissimo del pezzo jazz o l’etichetta di un vino di nicchia con annessa annata, in un romanzo, è come il selfie del (sedicente) politico in un momento di pausa della campagna elettorale, o quello dell’avvocato mentre entra in Cassazione o la sentenza della causa vinta pubblicata sui social dall’avvocato (quelle perse non ce le pubblicano mai), oppure, ancora, il selfie che ritrae il personaggetto di turno che parte col treno destinazione futuro, tutti a riprodurre il film della loro vita a una platea di presunti spettatori che altro non aspettano che conoscere le sorti del novello supereroe.

Considerazioni, queste, che mi sovvengono a margine di una domenica di elezioni di provincia, nella quale mi è toccato in sorte anche il comizio elettorale di un improbabile candidata consigliere, che ha pensato bene di esternare le sue immense banalità ad alta voce al bar, dove speravo, visto l’orario e il caldo, di trovare un attimo di solitudine socievole, come mi sembra sempre essere un momento in un luogo pubblico, fra la gente, ma da solo.

Potenza, 9 giugno 2024

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