Lavorare!
Una volta, una quindicina d’anni fa, uno più, uno meno, chissà, in un Tribunale del profondo nord andai per patrocinare un mio cliente imputato.
Ebbene, chiamata la causa, sollevai un’eccezione, il Giudice la ritenne fondata, rigettò la richiesta di prova testimoniale del PM, coi testi citati e presenti, beninteso, ritenendola inammissibile e invitò le parti a discutere. Terminata la discussione emise il suo verdetto.
Tutto in poco meno di mezz’ora. “Ma allora esiste una maniera per far giustizia velocemente” mi dissi particolarmente ispirato uscendo dal Tribunale con passo deciso.
Identica esperienza non mi è più capitata nella vita dalle mie parti, altrove invece sì.
In effetti quando c’è voglia di lavorare non c’è bisogno di riforme; queste sono solo una maniera per far vedere che qualcuno, diamine, ci tiene alla giustizia, ma contemporaneamente ci mostrano che chi le ha ideate non ha capito nulla dei processi, o non vuole capirne nulla, o ha capito tutto e non ha voglia di lavorare.
Ora siamo arrivati alle comiche in toga. Basti pensare che si sono inventate le udienze predibattimentali che assolvono al compito di verificare tutto quello che il giudice del profondo nord aveva comunque fatto nei primi dieci minuti della sua udienza. Ora ci vuole un’udienza per non fare nulla, per decidere, cioè, se una querela davvero esiste ovvero per fissare un’altra udienza per cominciare a celebrare il processo. I processi, quindi, invece di essere smaltiti si accumulano. Certo che ci vuole una mente perversa assai per diavolerie del genere. Quando basterebbe ordinare di, semplicemente, “lavorare”.
Ecco questa è l’unica e vera riforma che andrebbe adottata, “lavorare”. In effetti un processo, tantissimi processi, potrebbero essere definiti in una sola udienza, il che eviterebbe l’accumulo degli stessi. Ma stiamo parlando in lingua estone, nonevèro, quindi ciccia, e passiamo a studiare le ultime modifiche in attese di quelle della prossima settimana.
Bacioni, estensibili.
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